Giorgione a Montagnana (parte seconda)

di Enrico Maria Dal Pozzolo

L'Affresco della Giuditta Prima del Restauro Diciamo subito che a nostro avviso il David e la Giuditta - così come appaiono oggi - sono inattribuibili. La ridipinturta effettuata dopo la scoperta del 1930, se da un lato ha consentito di ricostruire un'evidenza tematica, dall'altro ha quasi completamente alterato i valori pittorici e confuso numerosi particolari. Per tentare un'analisi occorre dunque riferirsi allo stato in cui gli affreschi si presentavano sessant'anni fa.
Lo possiamo fare grazie a due ottime lastre che si conservano nel Gabinetto Fotografico del Museo Civico di Padova.

Da esse appare chiaro come lo stato generale sia rovinoso. Il David, tranne alcuni brani, è quasi completamente illeggibile; lo si potrebbe considerare una sinopia con lacerti d'affresco. Non meno pregiudicato è il riquadro con Giuditta, che però presenta in più che accettabili condizioni le parti principali: ossia la testa, la metà superiore del busto e la mano sinistra. Ciò è confermato dalla visione diretta, nella quale si evince l'ottima tenuta della pennellata nelle zone originali, di contro alla difficoltà del restauratore nel ricomporre la situazione di partenza, con esplicite rinunce (la testa di Oloferne è sfumata in mezzo) o integrazioni del tutto arbitrarie.

L'uso del chiodo per tracciare il disegno consente infatti di stabilire, ad esempio, che l'elsa della spada di Giuditta è sicuramente dritta (mentre poi venne esemplata su quella a doppia voluta del David) e che vi furono non pochi pentimenti: come i riccioli dell'eroe, che in un primo momento erano stati lasciati cadere sulla spalla e poi invece solo sulla schiena, oppure lo scollo di Giuditta, che da camicetta plissè venne trasformato in una strana , pesante bordura. La qual cosa escluderebbe la possibilità che l'artista copiasse da un prototipo altrui.

È inoltre opportuno evidenziare la fluidità con la quale egli adoperava il chiodo, quasi che senza cartone lavorasse, e che si può cogliere, anche solo dalla riproduzione fotografica, nel grande nodo della fascia che cinge il bacino del giovane.

Ora, al di là dei limiti oggettivi che una situazione del genere comporta, ci pare evidente che un'interpretazione sia possibile, oltre che doverosa, nella misura in cui la si ammetta per dei frammenti, giacché questi abbiamo di fronte. Per nostra fortuna, però, facenti parte di impianti decodificabili.

La data. Ci torneremo più innanzi. Per intanto basti una collocazione tra lo scorcio del XV e l'inizio del XVI secolo. Ciò è indicato, oltre che dall'operazione linguistica (ovviamente l'elemento principale), anche da taluni elementi iconografici. Abbiamo accennato alle spade. Bene, quella di David - come ci indica cortesemente uno specialista del calibro di Lionello Boccia - è un coltellaccio, tipica arma da caccia e da pompa. Esso sembra da porsi tra la fine del '400 e i primissimi anni del '500 (non comunque oltre il 1510).

Quasi certamente è di origine veneziana, come suggerisce la lunga crociera dell'elsa che scende acutamente. Un esempio molto simile lo ritroviamo in una Giuditta incisa intorno al 1500 da Nicoletto Rosex, e, quanto all'elsa, in un dettaglio del Fregio di Casa Marta Pellizzari di Giorgione a Castelfranco. Sottolineiamo che il coltellaccio con doppia voluta all'ingiù è piuttosto raro. D'altro canto, anche la capigliatura di Giuditta dà una sua indicazione. Discriminata al centro, raccolta sulla nuca e con le treccine sulle guance, essa richiama il confronto con le chiome delle veneziane ritratte circa tra il 1500 e il 1510, prime fra tutte quelle sensuali e memorabili, di Dùrer.

Sono gli anni della parabola giorgionesca e con Giorgione la figura di Giuditta mostra effettivamente stretti rapporti. I richiami più immediati sono con la nuda della Tempesta e con la cosiddetta Laura di Vienna. Ma la testa della donna è ben paragonabile - pur tenendo conto della difformità di tecnica, supporto e dimensioni - a quelle dei Magi inginocchiati nell'Adorazione della National Gallery di Londra, e del viandante nel disegno di Rotterdam.

Quanto al David, ci pare che la ritmica della posa riconduca al secondo pastore nel Ritrovamento di Paride ammirato nella casa di Taddeo Contarini da Marcantonio Michiel, che precisava come esso "fu delle sue prime opere" (il quadro è perduto, ma lo conosciamo grazie a qualche derivazione ed alla stampa trattane da Van Kassel nel 1658). Da quel che se ne può dedurre il suo volto non è dissimile nell'impostazione da quello dell'Apollo giovinetto con freccia del Kunsthistorisches Museum di Vienna, opera potentemente leonardesca e anch'essa in genere considerata giovanile, e nel cipiglio espressivo al giovane in secondo piano nel Doppio ritratto Ludovisi di Palazzo Venezia a Roma. Interessanti anche numerosi dettagli.

I Tre Filosofi, Kunsthistorisches Museum, ViennaLa mano destra di Giuditta è affiancabile alla sinistra della medesima eroina nel dipinto di San Pietroburgo e - soprattutto - alla destra del più anziano dei Tre filosofi di Vienna ; la sinistra si divarica come quella sul petto del vecchio barbuto a sinistra nel Mosè alla prova del fuoco degli Uffizi, o come quella del San Francesco nella Pala di Castelfranco. Il testone mozzato del Golia - quasi un'unica maschera tragica - ricorda per definizione volumetrica alcuni monocromi del Fregio di casa Marta-Pellizzari (ad esempio quello col leone frontale).

Il paesaggio sottostante è affine a quello che fa da sfondo alla discussa Allegoria della decadenza saturnina delle arti alla National Gallery di Londra: con gli stessi torrioni cuspidati, gli edifici con le cupolette emisferiche cuspidate ed un promontorio sul quale svetta una torre ugualmente cuspidata. Meno puntuale, ma altrettanto suggestivo il confronto con la città che appare nel Giudizio di Salomone degli Uffizi.

E potremmo andare avanti per molto: sia a livello compositivo (coi muretti usati in funzione di quinta come nella Giuditta di San Pietroburgo, nella Madonna di Oxford e nella Tempesta) sia in relazione a possibili "ingrandimenti" morelliani (come i bagliori metallici delle lame delle due eroine, o la barba di Oloferne, rapportabile a quella - di raggiante morbidezza - del più anziano dei Magi). Dunque, quanto meno un "carattere" giorgionesco esiste. Tuttavia da qui a dire che gli affreschi siano di Giorgione ne passa. Come escludere infatti che non si tratti di un seguace?

La questione è non poco problematica dal momento che, se accettiamo per buona una date ante 1510, il fenomeno del "giorgionismo" è ancora in buona parte da delineare, anche per le incertezze che la critica rivela nel costruire un catalogo stabile del suo ispiratore. Ma a parte ciò, è evidente che esso è diventato una sorta di categoria astratta, invocata ogniqualvolta ci si trovi di fronte ad un tonalismo incipiente, ad un'atmosfera calda e melanconica, ad un'interpretazione appena un po' intimistica.

Così lo si riconosce in un arco di tempo che copre l'intera prima metà del XVI secolo, se non oltre. E ciò è insieme giusto e sbagliato. Nel senso che se è vero che il ruolo svolto da Giorgione nel momento di passaggio tra '400 e '500 a Venezia è stato decisivo, è altrettanto innegabile che il suo influsso fu raramente diretto negli anni '30 e '40, ad esempio, quando in realtà ci si confrontò con i "postumi" di Giorgione, incarnati, in primo luogo, da Tiziano.

Ma come si connotava il "giorgionismo" quando il suo artefice era in vita, ossia entro il 1510?
La necessità di storicizzare in tal senso - indicando con precisione spunti e citazioni - è oltremodo urgente, e vorremmo tornarci. In sintesi ci pare di poter affermare che esso si configura come un fenomeno assolutamente d'elite dove, al di là della stretta cerchia dei "due eccellenti suoi creati", Sebastiano del Piombo e Tiziano, i riflessi si possono cogliere puntuali solo nell'opera di grandi maestri, come Lotto e Romanino, come Beccaccino e Giovanni Agostino da Lodi.

E proprio lavorando su questo versante si può trovare un aiuto anche nell'improbo compito della sistemazione del catalogo e ella cronologia di Giorgione. Cosicché, ad esempio, apparirà chiaro che pezzi sconcertanti come i due Cantori della Galleria Borghese, sono da porsi certamente entro il 1511-12, e forse al 1507; preludio inimmaginabile di uno stile che parrebbe inquadrabile solo parecchi decenni dopo (ed infatti i due testoni continuano ad essere per lo più espunti dal corpus del maestro)1. lo stesso discorso s'impone per ritratti straordinari come il Cavaliere degli Uffizi, il "Brocardo" di Budapest, o il Doppio ritratto Ludovisi di Roma, tutti appartenenti, secondo alcuni, al primo quinquennio del nuovo secolo.

La parentesi che abbiamo aperto è, logicamente, funzionale al discorso che andiamo facendo: per dire che - se non di Giorgione - gli affreschi di Montagnana possono spettare solo ad un grande artista, suo compagno o stretto seguace. La qualità che svetta nelle parti sane è indiscutibile. Ragionando in termini di collocazione cronologica, topografica e linguistica, il solo nome proponibile è oggettivamente quello del Marescalco.


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